Gianluca Biggio

Psicologo, Psicoterapeuta psicoanalitico

Gianluca Biggio

Psicologo, Psicoterapeuta psicoanalitico

Stati della mente dissociazione e non-integrazione

11 giugno 2021

Trauma: dissociazione sociale e individuale

Gianluca Biggio

Premessa: breve excursus storico

Il trauma è definito nell’Enciclopedia della psicoanalisi come: “Evento della vita del soggetto che è caratterizzato dalla sua intensità, dall’incapacità del soggetto a rispondervi adeguatamente.” (Laplance e Pontalis, 1967, p.618).  Sigmund Freud in Introduzione alla Psicoanalisi (1915) afferma che: “l’espressione ‘traumatico’ non ha altro valore se non questo, economico. Con essa noi designiamo un’esperienza che nei limiti di un breve lasso di tempo apporta alla vita psichica un incremento di stimoli talmente forte che la sua liquidazione o elaborazione nel modo usuale non riesce, donde è giocoforza che ne discendano disturbi permanenti nell’economia energetica della psiche”.

Come sappiamo Freud associa il tema del trauma alla nevrosi e alla difesa di rimozione, mentre il rapporto fra trauma e difesa di dissociazione verrà sviluppato successivamente da altri autori, come ad esempio Bromberg (1998). Infatti nell’ enciclopedia di Laplance e Pontalis il termine dissociazione non è citato e troviamo come espressione a questa più vicina la parola diniego: “modo di difesa che consiste in un rifiuto da parte del soggetto di riconoscere una realtà traumatizzante (p.123)”. Trauma e diniego sono dimensioni strettamente collegate.

Lingiardi e Mucci (2014) affermano: “Rimozione e dissociazione sembrano processi psichici differenti non solo da un punto di vista fenomenologico, ma anche (e soprattutto) rispetto ai fattori che tendono ad attivarli e alle conseguenze sul funzionamento psico(pato)logico dell’individuo… La rimozione, come difesa, rappresenta una reazione all’angoscia: un affetto negativo ma regolabile che segnala la possibile irruzione nella coscienza di contenuti mentali che possono generare un conflitto intrapsichico spiacevole, ma sostenibile. La dissociazione, come difesa, rappresenta una reazione a un trauma: un flusso caotico di affetti non regolabili nella mente, che minaccia la stabilità del Sé e talvolta la stessa salute mentale. Il conflitto intrapsichico viene vissuto come insostenibile, non solo spiacevole. Perché insostenibile? Perché la discrepanza non si verifica fra contenuti mentali discordanti, ma tra aspetti del Sé alieni, tra stati del Sé talmente discrepanti da non poter coesistere in un singolo stato di coscienza senza minacciare di destabilizzare la continuità del Sé. […] Il trauma e l’angoscia differiscono non solo per la “quantità” (intensità) degli affetti mobilitati, ma sono anche qualitativamente diversi nel compito richiesto alla mente/cervello”. 

Vi è però anche un rapporto fra trauma e dimensione sociale che emerge già agli inizi della psicoanalisi. Freud (1919) infatti afferma che con 

la Prima Guerra Mondiale le migliaia di soldati sotto shock divennero un problema medico importante che contribuì agli studi e alle ricerche sulla comprensione degli effetti degli stress traumatici e sull’adattamento psicologico. 

Psicoanalisti tra cui Ferenczi e Abraham (Ferenczi, Abraham, Simmel, Jones, 1919) si interessarono al tema, tanto che durante il Quinto Congresso Internazionale di Psicoanalisi a Budapest si tenne un simposio sulle nevrosi e le psicosi di guerra.  Freud notò il promettente risultato di quel primo incontro e propose di istituire centri psicoanalitici dove dei medici opportunamente addestrati avrebbero avuto l’opportunità di studiare la natura di questi enigmatici disturbi e la possibilità di influenzarli mediante la psicoanalisi. 

PSICOANALISI E NEVROSI DI GUERRA 

Nella Seconda Guerra Mondiale, con il noto esperimento di Northfield, Rickman, Bion e Foulkes lavorarono contestualmente con i soldati traumatizzati fornendo una sistematizzazione teorica in ambito gruppale (Bion, 1940, 1961) (Fairbairn 1952), (Harrison 2000). 

Notiamo che negli anni successivi le competenze acquisite dal Tavistock Clinic Institute costituirono un ulteriore approfondimento nel momento in cui il personale si occupava principalmente di psichiatria militare; le osservazioni di Anna Freud e Dorothy Burlingham (1944) sul trauma dei bambini istituzionalizzati sottratti alle famiglie, le osservazioni di Winnicott (1957) sulla funzione della protezione genitoriale nelle situazioni traumatiche collocano il trauma in un contesto più ampio di quello bellico.

Corsa e Zanda in un approfondimento sulla rivista  SpiWeb (2014) ci fanno notare che in anni più recenti la Task Force dell’APA per il DSM-III (1980), riconobbe che il “Disturbo da stress da catastrofe” poteva originare anche da traumi non legati alla guerra.

Trauma: dissociazione sociale e individuale oggi

Il congresso della EFPP del 2018 a Belgrado  è stato dedicato al Trauma Sociale.

Il titolo della Conference La sfida dei traumi sociali – I mondi interiori delle realtà esterne delineava una linea di ricerca sulle ripercussioni dei traumi sociali nel mondo interno individuale. In quell’occasione furono presentati contributi che esploravano varie dimensioni del trauma sociale. Rosa Romano Toscani presentò un lavoro sul trauma transgenerazionale, Giovanni Starace presentò un originale lavoro sulla violenza criminale e io proposi un elaborato sul tema del rapido cambiamento sociale come trauma e i suoi risvolti identitari individuali, accolto nella rivista on line EFPP. Da questo vorrei partire per proporre alcune riflessioni teoriche e cliniche sulla dissociazione sociale e individuale.

Freud (1921) ha affermato che l’individuo è l’ultimo anello di una serie di determinazioni sociali. Kaës (2012, 2015) e Bollas (2018) hanno sostenuto l’importanza del sociale nella formazione della pulsione e del Sè. 

Si può sostenere che processi di costituzione della personalità siano determinati anche dall’elaborazione individuale di tracce psichiche che raccolgono le interazioni tra individuo e ambiente, e viceversa. Mi sembra interessante considerare a tal fine uno schema sulle declinazioni identitarie tra individuo e ambiente presentato da Sasso (2015) al Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Psicoanalisi in un mondo che cambia.

 

Se concediamo questa attenzione alla relazione identità-ambiente, possiamo comprendere come il rapido cambiamento sociale di questi anni possa essere traumatico per l’elaborazione collettiva ed anche individuale, come stiamo costatando con la pandemia COVID 19. 

Inoltre anche la pervasività dei rapidi cambiamenti sociali e i modelli di interazione uomo-tecnologia possono essere traumatici. Se il tempo turbolento dato dall’esponenziale celerità del mondo economico non corrisponde al tempo dell’inconscio individuale, smarrimento e affanno possono permeare l’emotività dei nostri pazienti creando confusione e ambivalenza.

Freud (1929) nel Disagio della Civiltà affermava che: 

” …l’uomo oggi… è diventato lui stesso quasi un dio… una specie di dio-protesi veramente magnifico quando è equipaggiato di tutti i suoi organi accessori; ma essi non formano un tutt’uno con lui e ogni tanto gli danno ancora del filo da torcere”. Aggiungeva poi anche che  L’umanità ha sempre barattato un po’ di felicità per un po’ di sicurezza.

A cosa rinuncia il cittadino dell’era digitale, paradossalmente, nell’era della soddisfazione immediata? Cosa dare in cambio della possibilità di comunicare in tempo reale nel villaggio globale? Forse oggi si perde la possibilità di distinguere il mondo esterno da quello interno e viceversa, in cambio di una illusoria soddisfazione virtuale. 

Quando il personal computer entrò nella quotidianità si avviò un cambiamento epocale che segnò l’entrata nell’era digitale. Con i personal device iniziò un nuovo paradigma; la diffusione periferica spontanea ri-assemblata ex-post dalla rete, ovvero un contenitore fluido e sempre in espansione. Il pc si è evoluto sino all’odierno smartphone, il microcomputer che riceve e crea comunicazione multimediale e ci accompagna nella vita di tutti i giorni. In parallelo, come ci hanno annunciato i sociologi, si è modificato il paradigma identitario dell’uomo moderno. Dal controllo centralizzato attraverso solidi valori collettivi (Riesman 1950, Kaes 2012) si è passati alla identità liquida di mutevoli valori individuali (Bauman, 2000). 

Inoltre la produzione seriale di beni materiali dell’era meccanica, attraverso la tecnologia digitale, si è espansa sino alla produzione di immagini e simboli, desacralizzando il loro potere iconico, così come aveva preannunciato l’artista Andy Warhol negli anni Sessanta e come ha rilevato lo psicoanalista Kaes negli anni Ottanta, a proposito della crisi dei garanti metasociali e metapsicologici. 

DESACRALIZZAZIONE COMMERCIALE

La mancanza di una rassicurante narrazione sociale della realtà da parte dei garanti metasociali e metapsicologici (una buona famiglia, una chiara etica sociale, una solidarietà utopica, etc.) pone gli individui di fronte a una narrazione de-sublimata (guerra commerciale, primato del denaro, competizione per le risorse, ecc.) che attiva stati primari e indifferenziati del Sé. 

Con questo cambiamento oggi la psicoanalisi si confronta. 

La tecnica della psicoanalisi deve adattarsi a patologie in cui la componente espressiva simbolica sembra attenuata. Una patologia in cui psiche-soma sono confusi, il pensiero non organizza ma si dissolve nell’atto, in cui la rimozione lascia il posto alla dissociazione (McWilliams, 2019).

Infine il diniego e la dissociazione possono spaziare dalla difesa individuale ad aree gruppali, come coloro negano che il Covid, così come la Shoah, etc.

rafforzandosi reciprocamente.

Può essere importante esplorare alcuni meccanismi di funzionamento del Sé nelle nuove forme di soggettività attraversate dalla traumaticità del rapido cambiamento sociale, soggettività che sembrano riportare alla trasformazione dal Sé riflessivo al Sé trasmissivo, sostenuta da Bollas (2018). 

Kristeva (1993) in Le nuove malattie dell’anima ha cercato di descrivere le forme psicopatologiche dell’era postmoderna. Afferma quest’ultima: “L’esperienza quotidiana sembra dimostrare una drastica riduzione della vita interiore. Chi ha ancora un’anima oggi?… Perché i fatti sono evidenti: stressati, desiderosi di guadagnare e spendere, divertirsi e morire, gli uomini e le donne di oggi stanno impoverendo la rappresentazione della loro esperienza che si chiama vita psichica (…) Non abbiamo né il tempo né lo spazio necessario per creare un’anima. La vita psichica dell’uomo moderno è ormai tra i sintomi somatici (malattia in ospedale) e l’immagine dei suoi desideri (fantasticherie davanti alla TV). (…) Le nuove malattie dell’anima sono le difficoltà o l’incapacità delle rappresentazioni psichiche che arrivano fino all’uccisione dello spazio psichico.”

Anche Bollas (2018) riporta le contraddizioni di un Occidente chiuso in un’autorappresentazione onnipotente produttrice di false sicurezze, una sorta di falso Sè sociale. Si può fare l’ipotesi che i pazienti “difficili” 

siano inclini alla dissociazione e talora alla formazione di un falso Sé virtuale (come si vedrà nei flash clinici).

Questo tema è stato esplorato negli ultimi decenni anche da psicoanalisti come Benasayag (2008), Kaes (2012, 2013), oltre che dallo stesso Bollas. Rischiamo di vivere una vita psicosociale disregolata

Problematiche del web tra sociale e individuale

Sempre più frequentemente emerge il tema delle tecnologie digitali pervasive, che da una parte risolvono molte questioni ma dall’altra creano problemi nella formattazione neuronale di nuovi nativi digitali, come dimostrano recenti studi internazionali (Firth, Torous, Stubbs, Firth, Steiner, Smith, Alvarez‐Jimenez, Gleeson, Vancampfort, Armitage, Sarris, 2019). Anche le riflessioni sulla Tirannia dell’algoritmo di Benasayag (2019) vanno in questa direzione. 

Penso che sia importante approfondire l’analisi di alcuni effetti strutturali dell’interazione con strumenti digitali da una prospettiva psicoanalitica.

Il PC si è evoluto nello smartphone di oggi, il microcomputer che riceve e crea comunicazioni multimediali e rimane con noi nella vita quotidiana. Questa nuova presenza non è strumentale ma anche mentale e psichica

Se questo è vero, dobbiamo allo stesso tempo considerare le peculiarità di questi nuovi strumenti: si incarnano psichicamente, nel luogo di lavoro e in molte interazioni sociali, in accordo con le caratteristiche antropologiche dell’era digitale.

L’interazione uomo-web può essere considerata su due livelli: il livello del contenuto e il livello degli stimoli percettivo-affettivi coinvolti nell’interazione. Ad esempio, possiamo vedere i contenuti dei videogiochi influenzare l’immaginazione dei giovani creando una particolare confusione tra fantasia e realtà come dimostrano vari studi (Leonard 2003; Hull, Draghici, Sargent, 2012) sugli effetti pecettivo-emotivi nella valutazione del pericolo e sulla dispercezione del tempo nella guida stradale.

Il tempo dell’attesa si è contratto in ogni attività umana. Siamo in un tempo iper veloce e saturo, traumatico per molti. Bollas (2018) ha affermato che viviamo in un’era in cui il “Sé fastnet” prevale sul “Sé riflessivo” a causa del modello sociale di interazione tecnologica. Ma le persone generalmente non se ne accorgono. Benasayag (2019) in “Tirannia dell’Algoritmo” ha esplorato questi aspetti della vita contemporanea. Un mondo intimo è racchiuso nel nostro smartphone. A questi strumenti deleghiamo importanti compiti operativi e di memoria, creando un’estensione cognitiva di noi stessi. Ma è solo un’estensione cognitiva?

Questo fenomeno si legittima positivamente anche sotto il seducente nome di realtà aumentata (Benasayag 2016). Di conseguenza, non pensiamo di vivere in un tempo congestionato, ma spesso siamo spinti a pensare di poter espandere il tempo in cui viviamo. A volte lo facciamo con una sensazione di onnipotenza e narcisismo. Vivere una vita multitasking diventa un modello socialmente incoraggiato. Indica una persona moderna e qualificata che fa molte cose contemporaneamente, un individuo performante e ben in sintonia con l’aggressiva società narcisistica. 

Se è vero che questa situazione sociale iperproduttiva e iperstimolante può creare anche spazi di maggiore plasticità mentale, possiamo ugualmente dire che tale plasticità è accessibile solo all’interno di una consapevolezza critica della cultura ipermoderna.

Ad esempio, ci siamo abituati a un costante abuso e a un’intrusione commerciale di messaggi non richiesti quando lavoriamo su internet. I pop-up sono ovunque e in qualche modo molte persone iniziano a intervenire nella vita degli altri come dei pop up men, non rispettando la privacy e il senso dei confini. Negli annunci che compaiono prima di qualsiasi video sperimentiamo l’arroganza degli spot che ci rincorrono per l’acquisto di merce non richiesta. Questa sembra essere la situazione definita da Bauman come “Consumo ergo sum”. Credo che anche questo sia un condizionamento che influisca sull’identità individuale.

Se l’uso di dispositivi personali è solo edonistico, ciò facilita una relazione oggettuale frammentata e più superficiale, come ci ricorda il concetto di identità liquida. Anche importanti psicoanalisti (Kohut 1973; Levenson 2013) confermano che la normalità patologica è diventata uno standard di vita per molte persone oggi.

Internet sembra diventare un grande palcoscenico pubblico in cui le persone si promuovono per farsi vedere. Tutti fanno a gara per apparire; se paghi un sovrapprezzo, puoi illuderti di salire in cima alle scelte ed essere più visibile.

La visibilità che ottieni non è però il risultato dell’apprezzamento dei tuoi contenuti. In questo palcoscenico web l’immagine di Sè è qualcosa che si compra attraverso l’esposizione e la concorrenza. Può essere che questo venga introiettato come modello d’identità. Questa modalità diffusa per via endodermica dai media corrisponde a una modalità che sfrutta l’oggetto ma non gode della relazione con l’oggetto, una modalità della società narcisistica a cui hanno fatto riferimento gli autori precedentemente segnalati da Kristeva a Green Bollas e altri.

Ritorniamo quindi al concetto del Sé fastnet che prevale sul Sé riflessivo. Questa percezione implicita del tempo e dello spazio mentale può influenzare le relazioni primarie con il caregiver e lo sviluppo dell’identità del bambino e dell’adolescente, come sopra descritta dallo schema di Sasso. Queste tematiche sono state trattate dall’evento scientifico Sipp “False Self or false society? Ricerca del Sé ed illusione dell’Io” tenutosi a Napoli nel 2018 come pure da vari articoli sull’International Journal of Psychoanalysis (Suarez, 2002; Nuñez Jasso 2002) riguardanti l’impatto delle nuove tecnologie sulla definizione del reale.

Flash clinici

Vorrei presentare il tema del rapporto tra cambiamento sociale e identità individuale con due descrizioni cliniche.

Penso che, come diceva Gaddini (1984), i pazienti siano cambiati dagli anni ’80, mostrando una più evidente fragilità imitativa dell’Io e la difficoltà nel trovare un senso riparatore della propria esistenza attraverso una relazione oggettuale sufficientemente sana. Possiamo dire che progressivamente, le capacità riparatrici siano state meno riconosciute mentre le capacità di prestazione individuale supportate dal narcisismo e dalla ricerca del successo, siano state socialmente più supportate. In questo caso di un paziente “postmoderno”, la sofferenza non nasce dalla coercizione dei sentimenti, ma dalla non integrazione e dall’evanescenza degli attaccamenti disorganizzati. Il cambiamento sociale introdotto dal web appare come supporto di aspetti dissociati e non integrati riposti in un falso Sé virtuale feticizzato.

Giovanni è un ragazzo che viene nel mio studio a 21 anni dopo aver frequentato il servizio per le dipendenze patologiche. Vive con sua madre che è piuttosto impegnata con il lavoro. Il padre si è separato quando lui aveva sei anni trasferendosi poi all’estero. Il padre era alcol dipendente. 

Giovanni inizia il primo colloquio dicendo che ha smesso di bere da circa un anno. Questo non ha migliorato la sua vita: si sente vuoto e senza progetti. È iscritto al Liceo Artistico ma non crede in quello che fa. Prende farmaci antidepressivi che – dice – non lo aiutano. 

Dopo alcune sedute percepisco il trauma dell’abbandono del padre, la sua rabbia e il suo disorientamento. Quest’emergenza è così evidente che Giovanni, dopo il primo incontro, cambia la sua foto su wh inserendo una cornice notturna indefinibile. Prosegue comunicando per azioni; la sua foto su wh si trasforma costantemente in immagini lugubri. Sembra significativo che Giovanni sia in grado di esprimere qualcosa della sua anima solo postando continuamente nuove immagini di sè stesso attraverso wh. È una anonima relazione attraverso un’entità virtuale che contiene il fantasma del padre (mi viene da pensare che possa essere anche un desiderio agito di scrivergli).

Il personal device si presta a depositare uno stato intermedio tra il Sé e il non-Sé, con l’illusione che sia custodito, che lui esista senza esistere. Credo che questa struttura emotiva e cognitiva possa apparirgli reale grazie anche all’esperienza dei diari interattivi, presenti sui social media. Questi ultimi funzionano come un grande Self-storage. Il Sé fantasticato è contenuto in uno spazio transizionale immobile che può dare l’illusione di essere reale perché si trova dentro un oggetto tecnologico concreto. La concretezza del contenitore interattivo dà l’illusione che il Sé sia reale. Inoltre, può apparire erroneamente intersoggettivo a causa di un principio di identificazione imitativa con gli altri giovani che lo possiedono.

Che tipo di psicoterapia è possibile per Giovanni date le considerazioni fatte fino ad ora? Mi venne in mente la frase di un collega in un seminario: “La psicoanalisi non combatte il negativo: lo assume e cerca di cambiarlo…”

L’interpretazione verbale non ha effetto con i pazienti “difficili”. Come affermano vari autori (Bromberg 1998, 2013; Mucci 2019), è necessario lavorare con una vicinanza empatica che racchiuda il loro agire dentro e fuori il setting (Bolognini 2019), fornendo uno specchio e una réverie somatica che di differenzi dal ritiro “unilaterale” o “opaco” ricevuto dai caregiver. Possiamo ipotizzare che Giovanni avesse una madre depressa con un marito tossicodipendente e incapace di fornire un attaccamento sicuro. In questa situazione, Giovanni ha subito l’abbandono del padre fuggito per evitare uno “specchio nero“, utilizzando un efficace termine di Lemma (2014). Ciò che si deve fare con questi pazienti difficili è fornire un’autentica disponibilità emotiva cogliendo il livello simbolico e sub-simbolico nelle sedute, come descritto da Bucci (1997). Inoltre dobbiamo considerare, come afferma Shore (2012), che: “Il campo intersoggettivo co-costruito dai due individui include non solo due menti ma due corpi”.

Ci si può quindi chiedere come integrare queste considerazioni cliniche con quanto detto. Bisogna considerare che il campo psicoterapeutico costituito dalla mente, dal corpo dell’analista e del paziente è condizionato dal rapporto di Giovanni con il personal device, una sorta di estensione allucinatoria del campo relazionale. Nel web Giovanni ripone una parte di sé alla ricerca di un sostegno per il vuoto sofferto nel rapporto con i genitori.

I tutorial del computer hanno parzialmente preso il posto delle relazioni con i caregiver, così come in molti giovani adulti. Si crea un’area transitoria di immagazzinamento di parti del Sé, piuttosto che lo sviluppo di future capacità creative. Siamo di fronte a una persona parzialmente rifugiata e bloccata in un universo solitario e narcisistico (con tratti maligni) che offre rifugio ma allo stesso tempo blocca gli investimenti libidici.

L’immagine nera e scura con cui Giovanni si rappresenta nella sua foto wh ne è un esempio. L’analista deve quindi assumere nella propria mente queste “immagini nere come un deposito dissociato di ciò che il paziente non riesce ad essere. L’azione di questo vuoto nero in Giovanni si esprime attraverso l’allontanamento dalla relazione. È possibile entrare in sintonia con questo vuoto nero per integrarlo nella co-costruzione del campo terapeutico? A volte è possibile che il terapeuta accetti di essere temporaneamente il “farmaco” del paziente o il vuoto nero, cercando il contatto tra le proprie parti dissociate e quelle del paziente, prendendo il posto del deposito informatico del Sé del paziente. Ma deve essere un deposito vivo che accetta le parti deteriorate del Sé del paziente. Questo lavoro può essere considerato una variante dei processi di sintonizzazione e tessitura descritti da Mucci (2019) o Stern (1985), ma si deve allargare il campo della ricettività empatica agli stati psicosensoriali che le nuove forme di soggettività talvolta comportano.

Bisogna considerare che il campo psicoterapeutico costituito dalla mente, dal corpo dell’analista e dal paziente è condizionato dal rapporto di Giovanni con il dispositivo personale. Come si diceva, sul web Giovanni pone una parte di sé cercando un sostituto del vuoto sofferto con i genitori. 

Per due anni il rapporto è proseguito in maniera carsica con apparizioni e scomparse. Quello che ha consentito di proseguire è stata la winnicottiana determinazione a essere nel vuoto nero dei suoi wh inglobandoli in una qualche forma di vicinanza senza farsene fagocitare, in attesa che qualcosa permettesse che potesse “usare come oggetto” (Winnicott 1965,1969 ) l’analista come del vicario del personal device.

Marginalmente infine vorrei riportare una descrizione che definisco clinico-antropologica in tema di web.

Paolo è un giovanotto di trentadue anni. Fisicamente è bello, vigoroso e sempre sorridente, lavora per un circolo velico. Sempre disponibile per piccoli problemi, parla con frasi che non superano la lunghezza degli sms. Ti guarda in silenzio sua immagine su wh cambia quasi ogni giorno. Appare sempre insieme alla sua ragazza in paesaggi simili a un e sfoggia continuamente un piercing piuttosto grande posto al centro della sua lingua. Ho pensato che forse la sua lingua è ferita e non può parlare!

In ogni caso, è sempre connesso con gli auricolari o prende continuamente l’iphone da una tasca di pelle sulla spalla. L’ultima foto mostra lui e la compagna con le orecchie di Topolino; entrambi tirano fuori la lingua e ridono. Nonostante i 32 anni, il suo universo emotivo assomiglia a quello di un bambino, ma si sente al sicuro e legittimato dalla presenza di un pubblico immaginario che crede stia ammirando le sue performance; si sente “smart”. La presenza della ragazza in questa triangolazione virtuale dà valore alla sua rappresentazione narcisistica transitoria.

Quando la sua segreteria telefonica risponde, dopo un cospicuo silenzio, si sente un fragoroso “Ciaooo …” che assorda le orecchie del chiamante, cogliendolo di sorpresa. Questo dettaglio e molti altri danno coerenza a un mondo di barzellette carnevalesche in cui è immerso psichicamente ma legittimato dall’editing privato postato su facebook.

Un paziente nevrotico, dotato di brillante intelligenza e professionalità nella realizzazione di siti web, mi disse in una seduta: “Sono solo in una stanza a contatto con il mondo” a proposito dell’utilizzo del tablet.

Perché quel paziente è stato in grado di esprimere una frase così autocritica e malinconica? Probabilmente ha percepito che la società dei media non è una società umana, incarnata in testimonianze relazionali e emotive reali. Per questo motivo non poteva colmare veramente la solitudine. Questo paziente aveva infatti sofferto della morte precoce e traumatica della madre ed era ben consapevole della differenza tra una presenza viva e un’assenza vera.

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  • Winnicott, D.W.  (1969).L’uso di un oggetto”. International Journal of Psycho-Analysis, 50, pp.711-716, 1969.

asperiores repellat.»